Si chiama Reza ha 27 anni ed è arrivato in Ancona dall’Iran il 16 febbraio. L’abbiamo conosciuto grazie a Sina, suo connazionale che da quasi un anno vive in Ancona. Sina è anche uno dei giocatori, o meglio dovremmo dire goleador, della squadra di calcio della Polisportiva Antinazista Assata Shakur.
Per noi tutti, ormai un figlio, un amico, un fratello. Dopo tanti problemi famigliari e dopo la disperata ricerca di un’occupazione che più volte ha trovato e perso, lunedì scorso gli è stato consegnato il permesso di soggiorno per motivi di lavoro con validità di un anno.
Sina è uno di quei ragazzi che ce la sta mettendo tutta. In poco tempo ha imparato a parlare e leggere l’italiano, si è costruito il suo mondo di relazioni, e nello stesso tempo sta aiutando la sua famiglia che attualmente vive a Teheran.
È uno di quei ragazzi “ribelli” che ha deciso di spezzare quel legame di oppressione che disciplina i comportamenti, così come le relazioni sociali della popolazione iraniana a cui costantemente viene negata la libertà. Tutto questo s’impatta violentemente soprattutto sulle nuove generazioni che, come per le popolazioni del Mediterraneo, oggi reclamano democrazia e diritti. È proprio in questo punto che le storie di Sina e di Reza si uniscono. Reza , quando ha deciso di lasciare da dissidente il proprio paese, l’ha fatto perché intravedeva la possibilità, qui in Italia, di ricevere quel aiuto necessario per tentare di vivere da uomo libero e non da perseguitato come nel suo paese.
Quando è arrivato in Ancona si è recato in questura per inoltrare la domanda come richiedente asilo politico. Il 22 febbraio è stato richiamato per le impronte digitali e, dopo averlo identificato, lo hanno invitato a presentarsi al centro di prima accoglienza per richiedenti asilo di Arcevia il 24 dello scorso mese.
Il 22 marzo, quasi un mese dopo, è stato trasferito in aereo, dall’aeroporto di Falconara, a Lampedusa. Attualmente si trova nel centro di Mineo insieme ad altre 2000 persone in condizioni estremamente precarie. Lui stesso, attraverso un’intervista telefonica, denuncia la scarsità del cibo e dei servizi igienici. Racconta che da quando è stato trasferito ancora non ha potuto farsi una doccia.
Dice: “Sono spaventato perché nessuno mi sta spiegando perché sono qui e per quanto tempo dovrò rimanerci”. Quando gli chiediamo se conosce il motivo del suo trasferimento lui risponde così: “Mi hanno trasferito insieme ad altri 60 ragazzi, tutti richiedenti asilo politico,ci hanno detto che il centro di Arcevia era sovraffollato.”
Ad oggi ci sembra veramente incomprensibile quello che sta vivendo Reza e gli altri ragazzi che con lui soggiornavano ad Arcevia. Per questo pretendiamo che venga fatta immediata chiarezza sull’accaduto e che per loro, come per i migliaia di profughi che vengono costretti a stare a Lampedusa senza un radicale intervento umanitario, venga rilasciato un permesso di soggiorno che permetta a loro di muoversi liberamente e che gli garantisca la dovuta assistenza sociale che meritano.
Oggi, come ieri e come l’altro ieri ancora, richiameremo Reza per accertarci delle sue condizioni fisiche e per monitorare la situazione. La nostra paura così come quella dei suoi amici è quella di perdere le sue tracce , o nella peggiore delle ipotesi che venga , illegittimamente, rimpatriato.
Non può e non deve finire così!
Associazione Shimabara